Giulia, scusaci, siamo un po’ tutti colpevoli!

Ne ho ascoltate tante, forse troppo, in questi giorni.

Giulia Cecchettin, una povera ragazza uccisa, forse perché aveva lasciato il suo ragazzo, un “bravo ragazzo” (!!??), forse perché aveva “osato” laurearsi prima di lui…

Cerchiamo di ristabilire alcune cose fondamentali.

Non esistono né “bravi ragazzi” né “mostri”.

Siamo persone che hanno il loro libero arbitrio, ed in base a quello, agiscono. Agiscono talvolta anche fino a compiere delitti. Gli assassini non sono marziani, sono persone come noi. Questo vuol dire che tendenzialmente siamo tutti potenziali assassini e carnefici. Uomini ed anche donne.

Naturalmente chi compie queste scelte efferate deve pagare i suoi conti con la giustizia, senza alcuno sconto, nessuna giustificazione.

Però quello che vorrei dire è che viviamo in una società violenta, aggressiva, intollerante, possessiva, dove valgono di più gli pseudo valori come il possesso, il successo, i soldi, il potere, la visibilità piuttosto che i valori veri della tolleranza, dell’onestà, anche intellettuale, dell’amorevolezza, della comprensione, del rispetto.

Questo si salda con una visione del mondo patriarcale e sessista nei confronti delle donne. Tutto questo spinge tanti uomini a commettere femminicidi. Non giustifica ma spiega.

I grandi classici della letteratura, da Delitto e Castigo ai Demoni, per esempio, ci mostrano benissimo come persone, apparentemente “normali”, possano diventare assassini.

Proprio perché la “normalità” è un concetto che serve a tranquillizzarci, ma che esprime un qualcosa di inesistente. Non esistono i “normali” come non esistono i “mostri”.

Troppo facile derubricare un assassinio come il gesto di un “mostro”. Apparenti “bravi ragazzi” agiscono da “mostri” e persone tutt’altro che “normali” magari non hanno infastidito mai neanche una mosca.

Non sono fatti che si spiegano apponendo delle etichette. La realtà è che questa società, egoista ed egoica, si fonda sulla prevaricazione del più forte e del più furbo rispetto a quello che concepisce altri parametri, molto più morali.

Il nostro mondo è un incubatore di potenziali assassini e potenziali violentatori.

La cura? L’EDUCAZIONE al RISPETTO, al DIALOGO, alla TOLLERANZA, alla COMPRENSIONE.

Il RISPETTO del diverso, ad esempio.

La diversità può essere di genere, ma anche di cultura, di razza, di ideologia, di età, di capacità.

Gli uomini si scagliano contro le donne quando queste non si pongono come loro vorrebbero, quando li lasciano, quando non accettano di essere picchiate, umiliate, maltrattate, non solo fisicamente ma anche psicologicamente.

Ed allora si può scatenare la violenza, frutto della frustrazione di chi non riesce a vivere pienamente la propria vita senza dipendere dal possesso di un’altra persona. Noi uomini non possediamo nessuno. Non possediamo la nostra donna perchè non si possedono le persone. Dobbiamo farcene una ragione. I ragazzi dovrebbero impararlo dalla scuola e dalla famiglia e anche dalla società in cui vivono. Società che difficilmente dà segnali positivi.

Si passa dalla democrazia americana, aperta, fino ad un certo punto, ai diritti civili, ma anche violenta fino all’inverosimile, dove le armi sono come giocattoli in mano ai bambini, ma quando il bambino è psicopatico accadono le stragi, alle società di paesi che noi consideriamo più a rischio per quanto riguarda i diritti civili, anche se paradossalmente con una storia ed una cultura umana più antica.

Questi drammi mi fanno pensare: ma io mi comporto giustamente nei confronti della donna che amo? Sono solo un rompiscatole o sono un narcisista prevaricatore, con tutte le potenzialità negative che questo comporta? A questa domanda non so darmi una risposta. Perchè il problema è che ognuno di noi è quello che è, frutto di una educazione pregressa, di un carattere, di certe esperienze.

Nessuno deve pensare di essere “NORMALE”, siamo tutti “casi clinici” per psicologi ed anche psichiatri. Siamo TUTTI carnefici potenziali così come siamo TUTTI vittime potenziali. Non dobbiamo mai scordarci di questo. In tutto questo, naturalmente, le donne sono purtroppo più portate ad essere le vittime predestinate del sessismo e dell’egoismo di noi uomini.

Quindi? Quindi è un gran casino, dal quale non è facile uscirne. Vanno bene leggi migliorative, va bene dare più strumenti anche sociali per evitare o prevenire questi fatti, va bene cercare di puntare sull’educazione sin dalla tenera età, ma avere un mondo migliore è una utopia che solo con l’impegno personale ed anche sociale di ognuno di noi possiamo in qualche modo sfiorare.

Per finire, un fatto di cui occorre tener conto. Molte persone, per un motivo o per l’altro, sono fuori di testa. Alcune perché assumono sostanze di vario tipo, altre perché hanno patologie mentali (depressione, manie di persecuzione, schizofrenia, ecc). Queste patologie sono come dei fiumi sotterranei, difficilmente vengono alla luce, più spesso rimangono tra le quattro mura domestiche.

Occorre farsene carico se si è parenti o conviventi e la società dovrebbe dare gli strumenti giusti per poter, non dico risolvere i problemi, che spesso non si risolvono, ma almeno alleviarli. Ma la società, da questo punto di vista, è completamente assente e chi se ne dovrebbe occupare, non ci riesce minimamente. E molte volte queste patologie “segrete” escono fuori solamente con fatti di cronaca nera.

C’è ancora domani

C’è ancora domani è l’ultimo film con Paola Cortellesi ed anche il suo primo film come regia. L’ho visto alla sua presentazione al Cinema Barberini, a Roma, dove Paola Cortellesi è venuta a presentarlo con parte del cast. Ormai seguo queste presentazioni, ero già stato alla presentazione della “Scoperta della Neve”, in quanto si possono conoscere dal vivo direttamente gli attori dei film, i registi, per cercare di capire un po’ di più i retroscena del film.

Il film è ambientato in una Roma appena liberata dagli americani, la Roma popolare del Testaccio, con le sue case con cortili interni ed i suoi personaggi autentici e sanguigni, ben interpretati dagli attori.

In questa Roma c’è la protagonista, Delia, che vive una vita faticosa, costretta a portare avanti mille piccole attività per portare soldi a casa, dove il marito, un insolito Valerio Mastandrea, se li prende subito. E lei allora se ne nasconde una parte che vuole usare per qualcosa di importante.

Il film mostra il rapporto tra uomo e donna, un rapporto, in linea di massima, che vede l’uomo decisamente al comando e la donna costretta alla remissività.

Non tutti i personaggi femminili vivono così il rapporto con il loro uomo, ad esempio la sua migliore amica, Marisa (Emanuela Fanelli),

che ha un banco di verdure al mercato, ha un rapporto di amore vero col compagno e la signora che le passa alcuni lavori di cucito, una quasi irriconoscibile Tiziana Cruciani, è una donna libera e capace di gestirsi da sola, senza un uomo che decida per lei.

Nel film c’è come sottofondo anche un rapporto di solidarietà tra donne, quasi sotterraneo, invisibile, ma che lega vite anche diverse.

Delia ha questo marito geloso, ossessivo, violento, ma non un mostro, è uno che alcune volte è affettuoso e che, a suo modo, le vuole bene. La Cortellesi su questo ha detto che lei voleva rappresentare la figura del marito come quella di un uomo “normale”, capace di qualche slancio, pochi, e di un po’ di violenza, molto frequente. Un uomo che comunque tende a sopraffare la sua donna, come se fosse una cosa normale.

I momenti di violenza sono raccontati quasi al rallentatore, quasi come se fossero momenti di una danza rituale, dove ci si prende e ci si lascia, con una appropriata colonna sonora. Evidentemente non si vuole drammatizzare troppo, come se in qualche modo per la donna ci sia questa sensazione di ineluttabilità di quello che sta accadendo. Ma Delia, man mano, in qualche modo, prende coscienza di quello che è il suo rapporto e la sua situazione, e decide di fare qualcosa. Per sé stessa, per i figli, per la figlia che rischia di fare la sua stessa fine.

Il film è ambientato nel 1945 ma potrebbe essere ambientato ai giorni di oggi, così ha dichiarato la Cortellesi, i rapporti tra uomini e donna sono ancora oggi squilibrati, non sono solo i femminicidi a confermarlo, ed il film voleva mostrare questo ma anche dare una speranza, in quanto molte delle figure femminili poi, in qualche modo, reagiscono e si riscattano. Le donne si dimostrano più forti del ruolo che viene loro assegnato.

Il finale del film è a sorpresa e quindi non sarò di certo io a rovinarvi la sorpresa. Andatelo a vedere e ditemi se vi è piaciuto!

Dimenticavo! E’ un film in bianco e nero, ma è così coinvolgente che quasi non ci si accorge della mancanza del colore. Direi che è colorato a mano dalla comunicativa dei suoi personaggi!